Titolo: Senza Io e senza Dio.
Autore: Salvatore Brizzi.
Argomenti: filosofia, esistenza, evoluzione personale.
Editore: Gruppo Edicom.
Anno: 2000.
Voto: 6.5.
Recensione: qui.
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Dopo la recensione di Senza Io e senza Dio, il primo libro di Salvatore Brizzi, ecco qua l’articolo di approfondimento ad esso connesso.
Come sempre, vediamo qualche brano tratto dal libro in questione.
Prima citazione ovvia: lo stato di addormentamento dell’umanità attuale.
“L’essere umano moderno vive in un costante stato di addormentamento, uno stato semi-ipnotico, uno stato semi-incosciente che lo priva di ogni potere volitivo e gli impedisce di cogliere la realtà come realmente è.
Questo stato non gli consente di esercitare il libero arbitrio cui per sua natura avrebbe diritto ed inoltre lo condanna ad ogni genere di sofferenze che, sebbene tutte illusorie, lui percepisce come terribilmente reali proprio a causa del sonno in cui giace immerso ventiquattrore al giorno.
È fondamentale chiarire che quando parlo di tale stato denominandolo “semi-incosciente” non sto utilizzando un modo di dire un po’ brusco mirante ad offendere la specie umana, ma mi riferisco al significato più letterale del termine, senza enfasi o intento scandalistico.
Lo stato di addormentamento non rappresenta uno sterile concetto filosofico che può essere accettato o respinto, né d’altronde costituisce un’esagerazione sensazionalistica della realtà, ma è semplicemente l’espressione più fedele dell’attuale incredibile situazione umana.”
La seconda citazione proposta da Senza io e senza Dio procede sulla medesima strada: l’uomo addormentato non è consapevole e padrone di sé e dei suoi fenomeni interni.
“L’uomo ordinario, non possedendo alcun controllo sulla fisiologia del proprio cervello, è diventato un “guscio di carne” preda di situazioni esterne, e quindi preda di altri uomini più furbi (non più evoluti) di lui. Il branco può facilmente essere convinto a battersi per una nazione, oppure a uccidere per difendere un’etnia, o a scatenare una rivoluzione; e con la stessa facilità viene portato a credere in una ideologia politica, o in una confessione religiosa, o a seguire una moda, o uno stile di vita (basta ripetergli ossessivamente che questo stile è il più democratico e il più progredito).
Quanto credi sia difficile per chi conosce i rudimenti della psicologia più elementare convincere una massa a votare un candidato politico, a mangiare un determinato alimento, o a seguire una trasmissione televisiva?
Se un’azienda è in grado di stimare con notevole precisione e alcuni mesi di anticipo quanti consumatori acquisteranno un determinato prodotto al suo ingresso sul mercato o quanti spettatori seguiranno una nuova trasmissione televisiva, allora in base a quale criterio puoi affermare che quelle persone hanno scelto volontariamente di comprare il prodotto o seguire la trasmissione?
Tutto questo sarebbe possibile se l’uomo fosse realmente capace di volere e decidere indipendentemente dai condizionamenti, anziché essere in uno stato semi-ipnotico?
La verità è che l’uomo adora la sua dorata prigionia ed ammira i propri carcerieri, i quali gli fanno credere di essere stato proprio lui a sceglierli e che non esiste alternativa ad una situazione socio-politica-economica ormai cristallizzata in tutto il mondo.
L’uomo addormentato è come un maiale da allevamento: una vita relativamente comoda, una situazione sentimentale relativamente stabile e la speranza di un futuro sempre migliore per i propri figli sono ipnotici sufficienti a tenere soggiogate centinaia di milioni di uomini indegni di questo nome.
La sua energia vitale, che dovrebbe consentirgli di risvegliarsi e divenire libero, viene usata a proprio vantaggio da chi detiene il potere economico nel mondo. Analogamente a ciò che accade per i maiali in rapporto ai loro padroni.”
Cosa consegue da tale situazione di ipnosi-addormentamento?
Ovviamente la sofferenza.
“La sofferenza può esistere solo ad un livello ordinario di consapevolezza.
Più strada si percorre lungo la Via dell’Illuminazione, meno sofferenza si percepisce.
L’illuminato non soffre.
La sofferenza nasce dall’incapacità di percepire gli eventi come necessari, cioè utili al conseguimento di uno scopo. Se si accetta ogni singolo evento della vita come strettamente necessario per un fine, e non come il più sfortunato fra i tanti che si sarebbero potuti verificare, la sofferenza non può nascere perché si elimina l’idea di “possibilità casuale”.”
Viceversa, una società più evoluta si comporterebbe in modo assai diverso nell’educazione dei suoi giovani.
“In una società spirituale – una società dove lo stato di illuminazione è universalmente riconosciuto come irrinunciabile ai fini di una normale e corretta esistenza e l’istruzione dei giovani è di conseguenza orientata in tal senso – il bambino sarebbe gradualmente avvicinato ad una pratica meditativa e ad un insegnamento tradizionale atti a renderlo partecipe di un piano di coscienza più elevato e capace di sviluppare appieno le sue capacità mentali. Rammento che nel suo infimo livello di coscienza l’uomo utilizza una percentuale irrisoria del proprio potenziale cerebrale.
Dal momento in cui l’Io compare nella coscienza tutta l’esistenza diviene sofferenza e la vita di ogni uomo si trasforma in un continuo disperato tentativo di sottrarsi a questa sofferenza o almeno di alleviarla nei limiti del possibile. A questa situazione sembra non sussistere alternativa, perché la sofferenza è già insita nel sentirsi un Io da difendere contrapposto al resto della realtà.
Vivere credendosi un Io dotato di una specifica personalità è la peggiore disgrazia che possa capitare ad un essere, perché questo implica il dover tendere costantemente verso la gratificazione dell’Io stesso (la famosa “ricerca della felicità”), gratificazione che diventa l’obiettivo dell’esistenza e, nella sua inarrivabilità, la causa del malessere più profondo.
Infatti appagare in maniera completa un Io sempre mutevole e condizionato da eventi esterni è impossibile; questo determina il non sentirsi mai soddisfatti e appagati, ma sempre costretti al movimento verso un obiettivo che ci può rendere felici, o meglio che può alleviare anche solo di poco la nostra sofferenza.”
Ma siamo in questa società qui, non in altre, per cui la palla passa a noi: che vogliamo fare?
Ecco il consiglio di Brizzi.
“Prendi la ferma decisione di seguire una Via evolutiva per uscire dallo stato semi-ipnotico e non preoccuparti di altro: a chi chiede sarà dato, è una legge!
L’esistenza stessa sa ciò che è meglio, quando e come farlo; tutti i tuoi pesi sono caricati sulle sue spalle, non preoccuparti di ciò che farai domani o fra un mese, non porti domande, non farti assillare dai dubbi, le cose continueranno spontaneamente che tu te ne preoccupi o meno.
Gesù dice: “Per questo io vi dico: non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora alla sua vita?”.”
Il punto di partenza è che ciò che ci capita è perfetto e assolutamente adatto al nostro percorso evolutivo: d’altronde, ipotizzare il contrario significherebbe ipotizzare che l’esistenza si sia sbagliata (e che magari noi ne sappiamo più di lei…).
“Ogni situazione è perfetta per te.
Ogni tua caratteristica fisica o psichica, ogni tuo difetto od ogni tua malattia (dal raffreddore al cancro) ha un suo specifico significato per te e rappresenta il punto di partenza perfetto per la tua crescita consapevole.
Non ha senso lamentarsi di una condizione che è di per sé perfetta e indispensabile. Devi però iniziare a osservarti, o la tua situazione non cambierà mai. Subire passivamente una situazione non serve alla crescita, devi osservarti costantemente come un testimone della tua vita, devi mantenerti sufficientemente sveglio per essere cosciente nei momenti più critici,che sono proprio i momenti più utili per evolverti, a patto che tu li viva con una certa presenza e non li subisca da addormentato.
Con l’osservazione crei i presupposti energetici per leggere libri, frequentare posti e incontrare persone sempre più utili al tuo risveglio, innescando un vortice ascendente che ti spingerà verso l’alto.”
Ultimi due brani proposti: il penultimo verte sul metodo di risveglio dell’autosservazione.
“Cosa significa esattamente “portare l’attenzione sul Sé”?
Significa osservare se stessi in assenza di pensieri. Significa essere coscienti di esserci senza pensare alcunché.
Se provi ad osservarti attentamente mentre svolgi un qualsiasi lavoro, mentre cammini in un posto tranquillo o mentre peli le patate, ti accorgi di cosa significa portare l’attenzione sul Sé, perché percepisci qualcosa di estremamente importante: la differenza tra i momenti in cui osservi e sei attento e i momenti in cui la mente ricomincia a vagare. Sentire questa differenza ti rende consapevole dello stato di coscienza vergognoso in cui trascorri normalmente il tuo tempo.
Da principio nella meditazione sarà utile ripetersi ogni tanto “ci sono”, “sono cosciente”, poiché i pensieri inutili sorgeranno continuamente durante tutto il tempo della meditazione e ricordarsi di pensare frasi come “ci sono” e “sono qui ed ora” riporterà l’attenzione su di sé, prestando sempre estrema attenzione a ciò che si dice e non ripetendo meccanicamente.
Per i primi mesi i pensieri saranno tenuti lontano solo pochi secondi, in seguito questo tempo aumenterà fino a raggiungere diversi minuti. Anche la meditazione evolve secondo un anello di retroazione: più la mente è quieta e più tensioni psicofisiche si sciolgono durante la pratica, minore è la quantità di tensioni nell’organismo maggiore è la facilità con cui la mente si acquieta.
Col trascorrere del tempo l’attenzione su di sé diviene uno stato di coscienza familiare, e ciò permette di coglierne una profondità sempre maggiore, un senso del Sé sempre più raffinato. L’abitudine della mente di sostare con frequenza a livelli sempre più profondi del Sé può provocare con gli anni la stabilità di tale condizione durante tutto l’arco della giornata.”
L’ultimo invece parla del risultato finale: la sparizione dell’io individuale, il risveglio definitivo.
“L’Io viene istantaneamente eliminato nel momento n cui si percepisce profondamente che esso non esiste e non è mai esistito.
Non essendo l’Io esistente, in verità l’eliminazione stessa non avviene mai, poiché non si può rendere inesistente qualcosa che non è mai esistito. Quindi, sia il credersi un Io, sia il credere di averlo eliminato è tutta un’illusione.
L’Io utilizza se stesso per convincersi di non esistere ed in questo modo si attribuisce implicitamente la sua stessa esistenza protraendo l’inganno e impedendo al Sé di emergere. In realtà nessuno deve convincere nessuno: è sufficiente chiedersi se effettivamente è presente nel corpo un’entità che pensa i pensieri ed indagare l’origine di questa presunta entità. Si scopre quindi che nessuno ha la paternità dei pensieri e delle emozioni, poiché essi giungono da soli e non per il preciso volere di qualcuno.
Al contempo si realizza che l’unico fenomeno esistente al di là del vortice incontrollato dei pensieri è la “sensazione di esserci”, la sensazione di essere consapevolmente presente qui ed ora, la quale può essere mantenuta anche in assenza di ogni attività della psiche. Questa sensazione è il Sé, cioè il testimone, e lo scopo del praticante spirituale deve essere cercare di mantenersi in questo stato di “attenzione cosciente” il più a lungo possibile ogni giorno, fino a quando esso non si stabilizza e avviene la “realizzazione del Sé”, il risveglio.”
Abbiamo così terminato con l’approfondimento di Senza Io e senza Dio di Salvatore Brizzi.
A presto e buone cose a tutti.
Fosco Del Nero
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