Titolo: Avrah ka dabra – Creo quel che dico.
Autore: Dario Canil.
Argomenti: spiritualità, esistenza.
Editore: L’Età dell’Acquario.
Anno: 2015.
Voto: 7.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
Bentrovati a questo ennesimo articolo di approfondimento.
Quest’oggi leggiamo qualche breve stralcio tratto dal libro di Dario Canil Avrah ka dabra – Creo quel che dico.
Tale libro, come specificato in recensione, ha differenti “anime”, ossia si riferisce a svariati autori e tradizioni, cosa che vediamo in questo stesso articolo, utile a capire se il libro fa o meno al caso proprio.
La prima citazione è riferita a quella che pare essere la tradizione cui principalmente si riferisce Canil, ossia lo sciamanesimo kahuna, anche se a dire il vero il principio seguente è tipico di tante tradizioni spiritual-esistenziali.
“Sei responsabile al 100% della tua vita.
Questo è l’insegnamento principale di tutte le dottrine esoteriche e sciamaniche.
La maggior parte delle persone vive ignorando questo principio e quindi tende a proiettare tutto fuori: tutto dipende sempre da qualcosa “fuori” di loro.”
Da tale fattore segue un corollario… e non di poca importanza: il principio speculare dell’esistenza.
“Il mondo è dentro di noi, non fuori.
Noi presumiamo che vi sia un’effettiva realtà fuori di noi, quando invece essa viene creata dentro di noi.”
Preso atto di ciò, inutile poi piangersi addosso o dare le colpe ad altri. Da un lato abbiamo la presa di responsabilità sull’esistenza e dall’altro il vittimismo.
“Se ci liberiamo dallo spirito di schiavitù e dallo schema fisso “carnefice-vittima”, abbiamo davvero una chance di riguadagnare la nostra libertà, una chance di libertà dai dettami impostici dai volatore, dallo specchio del narcisismo, dagli obblighi della realtà quotidiana.
Se ci disfiamo del giudizio dualistico e consideriamo gli avvenimenti che ci accadono non più come maledizioni e ricompense, ma come promettenti sfide, abbiamo mosso il primo passo sulla via che ci può portare fuori dalla prigione del nostro io abituale: la via del guerriero.”
E, una volta intravisto questo come altri principi esistenziali, non è possibile poi fare dei passi indietro per far finta di niente.
“È legge, un principio cosmico: quando prendi coscienza di qualcosa non puoi più regredire.
Puoi raccontartela, certo, ma sai già che non puoi farlo a lungo.
La coscienza è tutto ciò che davvero sei ed è talmente vibrante di vita che nasconderla è un’impresa impossibile.
Tutto è collegato, nulla accade per caso, una forza immanente all’Essere è all’opera sempre e ovunque e tu stesso ne fai parte in modo indissolubile e importante.
Tu di fatto eserciti un enorme potere nelle faccende della vita di ogni giorno, ma ti hanno insegnato a non riconoscere questo ruolo attivo; ne consegue che usi il tuo potere per lo più inconsapevolmente.
Tutto ciò che puoi percepire fuori di te tu lo stai letteralmente creando dentro di te, avendo luogo la percezione soltanto dentro al tuo essere. E di ciò che percepisci tu sei totalmente responsabile, sia che la tua capacità creativa sia sotto il tuo controllo, sia che tu te ne sia scordato.”
Veniamo ora a un altro dei principali riferimenti di Dario Canil e di Avrah ka dabra – Creo quel che dico: gli insegnamenti toltechi di Carlos Castaneda.
“Don Juan spiega che gli sciamani possono sconfiggere l’“installazione estranea” attraverso una vita d’impeccabilità (l’uso strategico dell’energia), perché la disciplina strema in modo incommensurabile la mente aliena.
La disciplina e la sobrietà sono qualità della consapevolezza che rendono la patina di splendore dell’uovo luminoso sgradevole al gusto del volador.
Ogni volta che si interrompe il dialogo interiore e si entra nel silenzio interiore si affatica la mente del predatore in modo così insostenibile che l’installazione estranea fugge. Successivamente essa ritorna, ma indebolita.
Attraverso ripetuti stati di silenzio interiore, l’installazione estranea prima o poi viene sconfitta e non torna.”
Passiamo ora ad un’altra “anima” del libro, e a un altro autore: Eugene Gold, col quale ci muoviamo tra sonno e presenza.
“Per la maggior parte del tempo della vita ordinaria di un essere umano, la macchina biologica giace in letargo, le sue connessioni con la Divina Presenza non sono attive, ogni risposta è prettamente automatica, la sua volontà in merito agli accadimenti meramente meccanica. L’attenzione della macchina è totalmente autoreferenziale, rivolta narcisisticamente su di sé, sui propri contenuti soggettivi a loro volta filtrati da modalità interpretative del tutto schematiche.
In definitiva, quando la macchina biologica è addormentata è del tutto simile a un automa.
Il nostro tempio/contenitore, qui nel breve passaggio su questa terra, va trattato bene, dandogli una corretta alimentazione, un opportuno riposo, adeguata attività fisica, pensieri felici, eppure questo non basta. La cosa più importante e degna che possiamo fare nei suoi confronti è di risvegliarlo dal suo lungo sonno.
“L’attenzione è lo strumento più potente che possiamo usare per produrre lo shock che porta la macchina biologica umana nello stato di veglia.” (E.J. Gold – La macchina biologica umana)”
Facciamo un altro passo, con un altro autore, cui ugualmente Canil si riferisce spesso, anche in questo caso per parlarci di presenza e ricordo di sé: Salvatore Brizzi.
“Premessa di ogni lavoro su di sé è il riconoscimento, oltre ogni dubbio, che le nostre abituali attività quotidiane sono condotte all’interno di uno stato di sonno verticale. Ovvero si crede di essere svegli perché si è in una posizione verticale e si dà vita al proprio libero arbitrio.
Di fatto è proprio questo “sentirsi svegli” che rappresenta un grosso ostacolo al vero lavoro di risveglio. Per lo più, chi pensa di pensare è pensato (ovvero subisce il pensiero), chi crede di cogliere dei sentimenti sta subendo delle emozioni, e chi crede di essere presente al proprio corpo sta passivamente soggiacendo alla sua programmazione cinetica.
Abitualmente definiamo “volontà” la capacità di imporre a noi stessi qualche atto e non ci rendiamo conto che laddove questo avviene nella fase di sonno, in realtà essa non è altro che l’espressione capricciosa di una catena di pensieri automatici. La vera volontà invece è la capacità animica di osservare a piacimento, in modo neutro e in piena Presenza, come la macchina biologica sta reagendo meccanicamente agli stimoli del mondo esterno.
In quest’ottica, la volontà è libera consapevole attenzione. Questa Presenza in sé, quando diventa disciplina, ovvero uno stato dell’essere, libera l’essere umano dalla schiavitù.”
Un’altra eco di Brizzi.
“Quando smetti di incolpare il mondo esterno per il dolore che percepisci dentro, hai l’opportunità di usare a tuo vantaggio la legge dello specchio.
Tutto ciò che tu vedi come una qualsivoglia forma di problema altro non è che la proiezione all’esterno di qualcosa che sta avendo luogo dentro di te.
Comprendere questo permette di vedere ogni problematica come una spia d’allarme, dandoti l’opportunità di trasmutare le energie che sono all’opera in quel processo.”
Siamo sempre in tema “addormentamento, lavoro su di sé e risveglio“: stavolta ad essere tirato in ballo è G.I. Gurdjieff.
“Quando punti all’audace obiettivo della libertà dal rumore della mente attraverso la ricerca del silenzio interiore, ricorda che lo stato d’animo ottimale è quello della Presenza: cerca di essere presente in ogni cosa che fai, dal respiro alle azioni, persino nel sonno.
Si tratta di coltivare il “ricordo di sé”, come soleva dire Gurdjieff, di riportare la tua attenzione costantemente all’Istante Presente, staccandola da ogni elucubrazione della mente.
Questo processo richiede un intento inflessibile, disciplina, il trascendimento dell’espressione reattiva ed emozionale, la riemersione della Mente Profonda (la Divina Presenza) e continuità nel coltivare queste qualità.”
E ancora in “ambito Gurdjieff”:
“La maggior parte degli esseri umani sembra avere le pile completamente scariche, venendo l’energia vitale per lo più sprecata in inutili stati quali l’ansia, il nervosismo, le preoccupazioni, lo stress, abitudini alimentari assurde, ritmi frenetici, cattiva qualità del sonno, il respiro troppo veloce e superficiale, l’esercizio della lamentela, etc.
Va da sé che eliminando queste cattive abitudini e risvegliando la macchina, ne ripristiniamo l’enorme potenziale.”
L’altro autore di spicco citato sovente nel libro è Eckhart Tolle: la citazione che si muove tra corpo di dolore e momento presente lo evidenzia bene.
“Ciò che il corpo di dolore teme più di ogni altra cosa è la luce della consapevolezza.
Quando ti senti dentro il dolore, non rifuggirlo, guardalo dritto in faccia. Osservalo attentamente, vedilo per come è davvero al di là dell’idea che la mente se ne è fatta. Stai interrompendo il processo di identificazione con il “corpo di dolore”, in quanto osservatore stai sciogliendo i perversi vincoli che la mente aveva creato per tormentarti.
Ora riesci persino a vedere quella subdola forma di piacere che ti dava il restare nell’emozione dell’infelicità.
Il “corpo di dolore” che ha ben imparato le strategie inerziali tornerà ancora e ancora, ma adesso sei pronto a riservargli ogni volta un’adeguata ed efficace accoglienza: ora sai come non resistere al dolore per illuminarlo alla luce della consapevolezza, ora sai come arrenderti al Momento Presente.”
Chiudo l’articolo con altre due citazioni.
La prima sottolinea il fattore speculare tra le energie interiori e il mondo fenomenico esterno (e in ciò ovviamente rientrano anche le proprie convinzioni).
“Tu accetti solo l’amore che pensi di meritare.
Tu accetti solo la felicità che pensi di meritare.
Tu accetti solo la salute che pensi di meritare.
Tu accetti solo la prosperità che pensi di meritare.
Tutto dipende dal tuo stato interiore. La tua vita affettiva corrisponde al tuo stato interiore. La tua felicità corrisponde al tuo stato interiore. La tua salute corrisponde al tuo stato interiore. La tua ricchezza corrisponde al tuo stato interiore.”
La seconda e ultima riguarda il principio della benedizione.
“L’antico significato esoterico della benedizione è la totale accettazione di ciò che è.
È la resa, consapevole e grata al Momento Presente. Senza alcuna resistenza.
Benedire la mia vita significa avere la consapevolezza che tutto è perfetto, e la quotidiana applicazione materiale di questa consapevolezza è ciò che mi rende felice.”
Bene, e così abbiamo terminato con Avrah ka dabra – Creo quel che dico di Dario Canil .
Alla prossima occasione e buone cose a tutti.
Fosco Del Nero
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