Titolo: Il giardino cintato della verità (Hadiqat al haqiqa).
Autore: Hakim Sanai.
Argomenti: esistenza, spiritualità, sufismo.
Editore: Libreria Editrice Psiche.
Anno: 1150.
Voto: 9.
Approfondimento: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
Quando vengo a sapere che Osho ha consigliato un certo libro, me lo prendo il prima possibile e lo leggo, sapendo che da certe energie non possono che discendere energie simili.
Fu così tempo fa per il bellissimo Il libro di Mirdad di Mikhail Naimy, ed è stato così ora per Il giardino cintato della verità di Hakim Sanai, di cui peraltro il già recensito libro di Osho Scolpire l’immenso costituiva una sorta di commentario.
Ma prima di procedere con la valutazione de Il giardino cintato della verità, un accenno all’autore, Hakim Sanai, noto anche come Sanai di Ghazna, laddove “Hakim Sanai” significa “Hakim il sapiente”, mentre Ghazna è una città dell’Afghanistan, che è stata capitale dell’impero degli Yaminidi e quindi città di un certo rilievo.
Hakim Sanai era il letterato di corte all’inizio del XII secolo, almeno fin quando si risvegliò, passando dalla composizione di elogi al sovrano alla composizione di testi esistenziali, tanto da essere poi passato alla storia come uno dei tre maggiori poeti mistici persiani. Gli altri due, per la cronaca, sono Rumi e Attar, con i quali per l’appunto Hakim Sanai compone la terna di grandi mistici sufi (per chi non lo sapesse, il sufismo è la componente spirituale e mistica dell’islamismo, e anzi secondo alcuni storici lo precede, essendosi poi fuso con esso per ragioni geografiche e culturali).
La Hadiqat, o Giardino cintato della verità, è una sorta di poema giuntoci in diverse forme, e confuse fin nelle stesure più antiche, tanto che esso è noto per essere un incubo per i traduttori orientalisti.
Cosa che non mi sorprende: da un lato c’è la componente del significato della traduzione, da un altro lato c’è la componente poetica, che è sempre un problema da traslare in un’altra lingua, e infine c’è la componente del livello di consapevolezza di chi scrive e di chi traduce, con le due cose che – va da sé – raramente vanno di pari passo, col risultato che si può benissimo perdere per strada l’energia più importante di un testo.
Ma noi ragioniamo con quello che abbiamo a disposizione, e quest’opera messaci a disposizione dal traduttore David Pendlebury, pur se incompleta e pur se necessariamente arbitraria (lui stesso è molto chiaro e sincero su questo punto), ci propone una bellezza incommensurabile, la stessa che si può trovare per altro in antiche opere come il Dhammapada, il Tao Te Ching, o gli stessi Vangeli, canonici e gnostici.
È dunque un testo che vi consiglio caldamente…
… e che tratta i soliti argomenti dell’evoluzione spirituale: l’addormentamento, il risveglio, la presenza, il cammino personale, il passaggio dalla dualità dell’ego all’unità dell’anima.
Sono poche decine di pagine alla fine (neanche cinquanta di “Giardino” e il resto di contorno), ma di grande valore e anche bellezza.
Ecco perché certi antichi testi sono stati considerati immortali… ed ecco perché è sempre buona cosa prenderli in mano a un certo punto del proprio cammino (a un certo punto e non prima, se no semplicemente non li si capiscono, con buona pace del “catechismo” propinato ai bambini o di fenomeni similari, che dimostra solo l’immaturità e l’intento manipolativo di chi offre tali servigi).
Ed ecco perché il testo di Osho è caldamente consigliato e inserito di diritto nelle opere più importanti recensite sul sito.
Fosco Del Nero
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