Titolo: Malattia e destino (Krankheit als weg).
Autore: Thorwald Dethlefsen, Rudiger Dahlke.
Argomenti: salute, benessere, esistenza, evoluzione personale.
Editore: Edizioni Mediterranee.
Anno: 1984.
Voto: 8.5.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
L’articolo di approfondimento di libri come Malattia e destino di Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke è molto complicato, per il semplice fatto che essi offrono una quantità enorme di spunti validi, per cui la scelta di relativamente poche citazioni da proporre è ardua.
In tale abbondanza, prenderò non dico a caso, ma quasi, sapendo che comunque si andrà a cascare bene.
Cominciamo con una citazione che costituisce le premesse dell’opera… e certamente non solo di quest’opera: l’illusorietà del mondo in cui viviamo.
“Così come tutto il mondo materiale è soltanto il palcoscenico su cui prende forma il gioco delle immagini primigenie che in questo modo diviene allegoria, analogamente anche il corpo materiale è il palcoscenico sul quale si esprimono le immagini della coscienza. Quindi, se una persona nella sua coscienza viene a mancare di equilibrio, questa situazione diviene visibile e sperimentabile nel corpo.
Di conseguenza sarebbe fuorviante affermare che il corpo è ammalato (soltanto l’uomo può essere ammalato), però questo male si rivela nel corpo sotto forma di sintomo.
Come un corpo senza coscienza non può vivere, allo stesso modo senza coscienza non può ammalarsi.”
Passiamo alla medicina, che attualmente vive la sua fase degenerata e cieca (come peraltro ogni altro ambito della vita umana), tanto da ignorare i sintomi/simboli del corpo umano e quello che stanno comunicando.
“Dai tempi di Ippocrate, la medicina ufficiale cerca di convincere l’ammalato che un sintomo è un fatto più o meno casuale, la cui causa è da ricercarsi nei processi funzionali, che ci si sforza tanto di studiare. La medicina ufficiale evita con cura di interpretare il sintomo e toglie quindi importanza sia al sintomo stesso che alla malattia.
In questo modo però il segnale perde la sua autentica funzione: i sintomi si sono trasformati in segnali insignificanti.”
Quello che fa la medicina odierna è dunque mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi (anche se per fortuna rispetto ai decenni precedenti si è già vista un’inversione di rotta).
“Come i bambini piccoli credono che chiudendo gli occhi si diventi invisibili, allo stesso modo gli uomini credono di potersi liberare di una metà della realtà rifiutando di accettarla dentro di sé.”
Cosa occorre fare allora? Qual è la via della guarigione?
“Ogni via di guarigione o iniziazione porta dalla polarità all’unità.
Il passo dalla polarità all’unità è un mutamento qualitativo così radicale che per la coscienza polare risulta difficile, addirittura a volte impensabile.
Tutti i sistemi metafisici, le religioni e le scuole esoteriche insegnano unicamente questa via che dalla polarità porta all’unità.”
Come mai occorre fare questo passaggio? Perché siamo immischiati in tale dualità?
“La conoscenza è impossibile senza polarità, senza la divisione in soggetto e oggetto, di colui che conosce e di ciò che viene conosciuto.
Nell’unità non c’è conoscenza, c’è soltanto essere.
Nell’unità cessa ogni nostalgia, ogni volontà e ogni tensione, finisce ogni movimento, perché non esiste più qualcosa di esterno verso cui si possa tendere.
È un vecchio paradosso che soltanto nel nulla si possa trovare la pienezza.”
Detto di dove siamo e di cose dobbiamo fare, ecco come si fa… a un livello teorico ovviamente.
“Se noi trasferiamo ancora una volta nel campo degli emisferi cerebrali la nostra comprensione dell’unità, che può essere raggiunta solo attraverso l’unione dei contrari, attraverso cioè una “coniunctio oppositorum”, risulta chiaro che il nostro scopo di superare la polarità è parallelo, a questo livello, alla fine della dominanza alternante dei due emisferi. Anche sul piano del cervello il concetto o/o deve diventare sia/sia, la “successione” deve trasformarsi in “contemporaneità”.
Qui risulta evidente l’autentica importanza del corpo calloso, che deve diventare così permeabile da far sì che i due cervelli diventino uno solo. La contemporanea disponibilità delle capacità di entrambe le parti del cervello sarebbe il corrispondente fisico dell’illuminazione.
Ritroviamo la conoscenza universale di questo passaggio dalla polarità all’unità in un’infinità di espressioni. La filosofia cinese del taoismo, in cui le due forze universali sono chiamate yang e yin. Gli ermetici parlavano di unificazione del sole e della luna o del matrimonio del fuoco e dell’acqua. Inoltre essi espressero il mistero dell’unione degli opposti in frasi paradossali come “Ciò che è fisso deve diventare fluido e ciò che è fluido deve diventare fisso”. L’antichissimo simbolo della verga di Ermete (il caduceo) annuncia la stessa legge: qui i due serpenti rappresentano le forze polari che devono essere unite nella verga. Questa immagine la troviamo nella filosofia indiana sotto forma di due correnti polari di energia che fluiscono nel corpo umano, chiamate “ida” (femminile) e “pingala” (maschile), che avvolgono come serpenti il canale centrale sushumna. Se lo yogi riesce a portare verso l’alto questa forza del serpente nel canale centrale sperimenta lo stato di coscienza nell’unità. Il cabalista rappresenta questo rapporto attraverso le tre colonne dell’albero della vita e il dialettico usa i termini “tesi”, “antitesi” e “sintesi”.
Tutti questi sistemi, di cui abbiamo citato soltanto alcuni, non sono in rapporto causale, ma sono tutti espressione di una legge metafisica centrale che questi sistemi hanno voluto esprimere a veri livelli concreti e simbolici. A noi non interessa un particolare sistema, ci interessa che venga compresa la legge della polarità e il suo valore per tutti i livelli del mondo delle forme.”
Passiamo alla legge di risonanza, altro punto portante del testo insieme al principio speculare.
“La legge di risonanza afferma che noi possiamo venire in contatto soltanto con ciò che suscita in noi una risonanza.
Questa verità porta all’identità di mondo esteriore e mondo interiore.”
Ecco come agisce la proiezione del mondo e del principio riflesso.
“L’ombra fa sì che tutte le intenzioni e gli sforzi dell’uomo si trasformino alla fine nel loro opposto.
Tutte le manifestazioni che derivano dall’ombra vengono dall’uomo proiettate su un anonimo “male” che esisterebbe nel mondo, in quanto ha paura di trovare in se stesso la vera fonte di ogni aspetto negativo.
Tutto ciò che l’uomo non vuole e non desidera deriva dalla sua propria ombra, che è la somma di ciò che egli non vuole avere. Però il rifiuto di confrontarsi con una parte della realtà e di viverla non porta affatto allo sperato successo. Al contrario, le realtà rifiutate costringono l’uomo ad occuparsi di loro in maniera particolarmente intensa.
Questo avviene per lo più attraverso il giro vizioso della proiezione, perché se si è rifiutato e represso in sé un determinato principio, fa sempre paura incontrarlo di nuovo nel cosiddetto “mondo esteriore”.”
Ne deriva che ciò che più dovrebbe rappresentarsi sono proprio le nostre difficoltà, le nostre malattie, i nostri punti dolenti… perché è lì che c’è il nostro potenziale evolutivo.
“I campi veramente interessanti e importanti per una persona sono proprio quelli che evita e combatte, proprio perché mancano nella sua coscienza e le danno un senso di malessere.
Una persona è disturbata soltanto da quei principi esterni a lei che non è in grado di integrare dentro di sé.”
Ma in pratica come si fa ad affrontare l’ombra e i sintomi vari?
La ricetta è sempre quella.
“Lo strumento che serve a unire gli opposti si chiama amore.
Il principio dell’amore è aprirsi e lasciar entrare qualcosa che fino a quel momento era fuori.
L’amore tende all’unione, l’amore vuole fondere, non separare.
L’amore è la chiave per unire gli opposti, perché trasforma il Tu in Io e l’Io in Tu.
L’amore è un dir di sì senza limitazioni e condizioni.
L’amore vuole diventare una cosa sola con tutto l’universo, e finché questo non ci riesce non abbiamo ancora realizzato l’amore.
Finché l’amore sceglie ancora, non è vero amore, perché l’amore non separa, mentre la scelta separa.
L’amore non conosce gelosia, perché non vuole possedere: vuole soltanto manifestarsi.”
Chiudo l’articolo di Malattia e destino con un’ultima citazione, questa di ordine più pratico. Parliamo di tipologie di cibo e del perché qualcuno è attratto da una tipologia e qualcun altro da un’altra.
“Se qualcuno ha fame d’amore senza che questa fame venga adeguatamente saziata, essa si manifesta di nuovo nel corpo come fame di cose dolci. Fame di dolci e ghiottonerie è sempre l’espressione di una non saziata fame d’amore.
Il doppio significato della parola “dolce” diviene evidente quando parliamo di “dolce fanciulla”. E si usa anche dire che si vorrebbe “mangiare di baci” una persona. Amore e dolci sono strettamente legati.
La ricerca di dolci di certi bambini è un indizio chiaro del fatto che non si sentono sufficientemente amati. I genitori protestano subito quando si sentono dire queste cose, affermando che per i loro figli loro “fanno tutto”. Ma “fare tutto” e “amare” non sono necessariamente la stessa cosa. Chi spilluzzica e mangia dolciumi ha fame d’amore e ha bisogno di essere saziato.
Esistono anche genitori che rimpinzano i loro bambini di dolciumi e in questo modo fanno capire che non sono disposti a dare amore ai figli e quindi glielo offrono come surrogato allo stesso livello.
Le persone che pensano molto e svolgono un lavoro intellettuale hanno bisogno e desiderio di cibi salati e genuini. Le persone molto conservatrici preferiscono alimenti in scatola o conservati, specialmente prodotti affumicati, e gradiscono il tè forte, che bevono amaro (in generale, cibi che trattengono acido tannico). Chi predilige un cibo ben aromatizzato e piccante mostra di avere desiderio di nuovi stimoli e nuove impressioni. Sono persone che amano le provocazioni, anche quando sono difficili da sopportare e da digerire. La situazione è totalmente diversa nelle persone che mangiano cibi leggeri: niente sale, niente spezie. Sono persone che evitano tutte le sensazioni nuove. Temono le provocazioni del mondo, hanno paura di ogni confronto. Questa paura può arrivare alle creme e alle pappe dei malati di stomaco: sono cibi da bambini, e questo mostra chiaramente che il malato di stomaco regredisce alla situazione indifferenziata dell’infanzia, quando non si deve decidere né prendere posizione e si può persino rinunciare alla masticazione del cibo (che presenta un suo lato aggressivo).”
Bene, con l’eccellente (a dir poco) Malattia e destino di Thorwald Dethlefsen e Rudiger Dahlke abbiamo concluso.
Buona lettura e buona auto-osservazione.
Fosco Del Nero
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