Titolo: Il dito e la luna.
Autore: Gianluca Magi.
Argomenti: spiritualità, sufismo, fiabe.
Editore: Il punto d’incontro Edizioni.
Anno: 2002.
Voto: 7.5.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
Da un libriccino così piccolo come Il dito e la luna non ci si aspetterebbe una gran mole di spunti, e invece questo libercolo di Gianluca Magi è davvero ricco di cose belle, tanto da mettermi in imbarazzo su quali scegliere da citare in questo articolo di approfondimento.
Poco male: alcune le includerò qui, mentre le altre andranno ad arricchire la pagina facebook, per la quale sembrano fatte su misura.
Partiamo da una storia su quello che si ha da dare agli altri… e delle proprie energie interiori.
“Una volta un maestro, in compagnia dei suoi discepoli, giunse in un paese dove un gruppo di scalmanati presero a scagliargli sassi e maledizioni.
Il maestro sorridendo li benedì amorevolmente.
“Ma come”, chiesero stupiti i discepoli, “Queste squallide figure ti lanciano pietre e maledizioni e tu li benedici?”.
“Ognuno spende le monete che ha nella propria borsa”, concluse il maestro.”
Segue adesso una storiella divertente sulle priorità della vita.
“Un contadino, per innaffiare il campo, quotidianamente era costretto ad attingere acqua dal pozzo e portarla sino al canale d’irrigazione.
Per fare ciò si serviva di un secchio che, però, era un colabrodo. Così, quando arrivava al canale d’irrigazione quasi tutta l’acqua era stata persa lungo il tragitto.
Giorno dopo giorno, andava avanti e indietro attingendo acqua col secchio bucato.
Un amico gli fece presente che il secchio era sfondato.
“Certo, lo so, non sono mica cieco”, rispose il contadino.
“Perché allora non lo ripari?”
“Non ho tempo. Sono troppo impegnato ad attingere l’acqua!””
Il terzo brano è parimenti ispirante, ed ha a che fare con principio speculare dell’esistenza, riassunto in un breve dialogo.
““Gli avvenimenti della vita quotidiana sono materiale prezioso per l’insegnamento”, disse l’anziano maestro sufi all’allievo, “Ti mostrerò cosa intendo, vieni pure con me”.
Si recarono quindi al mercato, che pullulava di gente indaffarata, di colori e di profumi di spezie.
A un tratto, tra la folla, un tizio gridò: “Chi si vede! Il vecchio ateo perditempo assieme al suo piccolo amante!”.
L’allievo, udite quelle assurde calunnie, in un accesso di collera si scagliò contro l’uomo del mercato.
Dopo che si furono azzuffati, il maestro disse all’allievo: “Ora, tranquillizzati, possiamo tornare a casa, dove potrai comprendere come ci si sottrae a tali situazioni grazie alla conoscenza della causa”.
Arrivati a casa il maestro estrasse dala sua libreria una borsa piena di lettere a lui indirizzate. Gli si rivolgevano come il Maestro dei Maestri, il perfetto conoscitore del Corano, Colui che è giunto alla perfezione, il Saggio dei Saggi, e chi più ne ha più ne metta.
Tutte quelle lusinghe rivolte al maestro dipinsero un sorriso sul volto dell’allievo.
“Se stai attento”, disse il maestro, “puoi ricavarne un prezioso insegnamento: ogni mittente si rivolge a me non chiamandomi con il mio nome, e tanto meno per ciò che sono, ma per ciò che inconsciamente vorrebbe lui esssere; mentre l’uomo del mercato si è rivolto a me per ciò che intimamente si reputa o ha timore di essere. Così va il mondo. Quindi, per qual motivo andare in collera o inorgoglirsi davanti ai giudizi sul nostro conto?””
Andiamo ora a conoscere un pupazzo di sale molto ambizioso e il suo ricongiungersi all’esistenza.
“Un pupazzo di sale,dopo aver viaggiato per valli e per monti, giunse sino all’oceano. Lì, meravigliato da tanta bellezza e vastità che non aveva mai visto, rimase in contemplazione.
“Dimmi chi sei”, chiese il pupazzo di sale all’oceano.
“Chi assaggia conosce. Entra e comprenderai”, rispose l’oceano.
Il pupazzo entrò quindi nell’oceano. E, tanto più vi si addentrava, tanto più vi si scioglieva.
Un istante prima di dissolversi completamente, il pupazzo sorrise affascinato: “Ora comprendo chi sei”.
E svanì.”
La sesta storia sufi ci parla di attaccamento.
“Quello che era considerato lo scemo del villaggio se ne stava tranquillamente seduto su un ponte a osservare il fiume che fluiva senza posa.
Giunse il sovrano del paese e, vedendolo seduto sul ponte, si fermò per apostrofarlo.
“Ehi, tu, non sai che un ponte è fatto per essere di passaggio e non per fermarsi?!”.
Lo scemo del villaggio rispose: “Certo, Eminenza. Ciò dovrebbe farti riflettere! Guarda come sei aggrappato a questa vita!”.”
Chiudo l’articolo con la settima storia, che vede per protagonista un fiume, indeciso o meno se fluire. Il deserto gli suggerisce cosa fare…
“Una volta, dalla sorgente montana da cui sgorgava, un fiume decise di percorrere un lungo viaggio. Attraversò pianure e monti, e poi ancora montagne e valli oltrepassando ogni ostacolo, finchè giunse di fronte al deserto.
Non conosceva le sabbie del deserto, ma avvertiva intimamente che doveva attraversare quella distesa sterminata. Così si lanciò energeticamente lungo la sabbia. Ma presto si accorse che le sue acque svanivano, immediatamente assorbite e trasformate in un pantano.
Come fare?
Mentre la crisi si stava facendo strada in lui, udì la voce del deserto mormorargli: “Non turbarti, ma osserva come il vento mi attraversa senza indugio. Lasciati assorbire nel vento, così potrai attraversarmi!”.
Il suggerimento del deserto rese molto perplesso il fiume, che rimuginava pensieroso: “Ma come posso farlo? Questo signfica che mi dovrei trasformare. Non l’ho mai fatto! Dovrei farmi assorbire dal vento che può volare! E poi dopo questo viaggio sconosciuto sarò lo stesso fiume di prima?”.
Il deserto, come se gli avesse letto nel pensiero, rispose: “Non temere! Lasciati andare! Lasciati assorbire dal vento! La tua acqua verrà sollevata dal vento che, una volta attraversato il deserto, ricadrà lontano come pioggia, trasformandosi nuovamente in fiume. In fondo, a ben guardare, non hai alternative. Tutto è in movimento e se decidi di fermarti qui, in breve tempo diventeresi una misera pozza d’acqua stagnante.”
Pian piano, nel fiume qualcosa accadde, ricordi remoti iniziarono a risuonare in lui. Nella sua essenza fece breccia una lontana memoria di quando un vento si prese cura di lui, trasportandolo amorevolmente alla sorgente da cui sorse. Grazie a questo ricordo il fiume decise di trasformarsi in vapore. Il vento allora lo accolse tra le sue braccia ospitali, lo portò in alto trasportandolo molto lontano, al di là del deserto. Lo fece poi ridiscendere sulla vetta di una montagna, da dove, con rinnovata consapevolezza, cominciò nuovamente a scorrere.”
Bene, con Il dito e la luna di Gianluca Magi è tutto; a presto e buone cose a tutti.
Fosco Del Nero
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