Titolo: I segreti del viaggio interiore (I have become alive).
Autore: Swami Muktananda.
Argomenti: spiritualità, esistenza.
Editore: Edizioni Mediterranee.
Anno: 1985.
Voto: 8.
Recensione: qui.
Dove lo trovi: Macrolibrarsi, Giardino dei libri, Amazon.
I segreti del viaggio interiore è uno di quei libri che mi ha fatto sudare in quanto a numero di brani di valore… che mi sono ricopiato uno ad uno, un po’ per questo articolo di approfondimento, un po’ per la pagina facebook.
Ma, d’altronde, Swami Muktananda aveva fama di risvegliato, e in effetti il testo è pervaso da un’energia piuttosto sostenuta.
Andiamo dunque a vedere alcune citazioni tratte dal libro, cominciando con un brano “introduttivo” sull’esistenza umana… e su chi è vivo e chi è morto.
“La vita umana è sublime. È misteriosa e degna di essere conosciuta.
È il fiore della felicità che sboccia, la fiamma di Dio.
Ma la vita rivela i suoi misteri solo a colui che realmente vive.
La vita è grande solo per colui che è veramente vivo.
Cosa significa essere veramente vivi?
Essere veramente vivi significa conoscere il proprio Sé, conoscere la Coscienza che pervade ogni cosa nell’universo e che vive all’interno del cuore umano.
Una persona che non riconosce il proprio Sé, una persona che si identifica con il corpo, una persona che pensa che solo la vita mondana sia reale e che Dio non esista: una tale persona non vive realmente.
Quando un essere umano è molto lontano dal Sé, come può essere considerato vivo?
Una persona che non riceva l’ispirazione del Sé, una persona che si consideri differente dal Sé, non è affatto un essere vivente.
È morta, sepolta, sotto una spessa coltre di ignoranza.”
Continuiamo a parlare di ignoranza, con una citazione da un libro dal titolo impronunciabile.
“C’è un aforisma nel Pratyabhijnahrdayam, il grande testo dello shivaismo del Kashmir, nel quale viene spiegato che quando la Coscienza inganna se stessa con il suo stesso potere e dimentica la sua vera natura, il Signore supremo diventa un’anima individuale.
Noi siamo il grande Sé, ma siamo rimasti intrappolati nell’inganno dell’ego e, come risultato di ciò, siamo divenuti anime individuali limitate. Questa è la condizione che i grandi esseri hanno chiamato ignoranza. Questo è lo stato di schiavitù.
Noi non ci accorgiamo di come l’ego ci inganni. È quel limitato senso di “io”, il falso sé individuale, che fa sorgere in noi la convinzione che il Sé, in realtà senza morte, immutabile, eterno, sia nato in un certo tempo e possa morire in un altro. È quell’ego che ci ha reso piccoli e che gelosamente custodisce la nostra miseria, perché sa che, se la nostra piccolezza se ne andasse, anche lui dovrebbe partire.”
A proposito di inganni dell’ego, ecco la morte.
“Ad un santo una volta fu chiesto cos’è la morte, ed egli disse: ‘L’unica morte che conosco è la morte del proprio ego, della propria presunzione, della propria arroganza. Non vi è altra morte’.”
E ancora sul binomio ego-morte.
“La compagnia dell’ego è la compagnia della morte.
Torniamo alla vita solo quando ci liberiamo dell’ego, questo falso senso dell’“io” che si identifica con questo corpo perituro e che pensa che la nostra identità di uomo o di donna sia ciò che realmente siamo. È solo allora che ci liberiamo dalla schiavitù.
Così, come quando ci liberiamo della rabbia scopriamo l’amore, quando ci liberiamo dell’ego scopriamo quell’ambito in noi che è pura Coscienza, che è Dio.”
Segue adesso una citazione più lunga, peraltro riferita a un personaggio storico della cristianità, Sant’Agostino. Con essa passiamo dalla “morte dell’ego” alla “vita dell’anima”.
“Agostino, un grande santo della cristianità, trascorse l’intera sua vita alla ricerca della pace interiore. Egli cercò l’appagamento nei piaceri dei sensi. Mangiò e bevve molto e sperimentò molte altre cose nella vita. Perseguì anche diverse pratiche spirituali, ma rimaneva sempre insoddisfatto. Nella sua ricerca, passava da una città all’altra, da una foresta all’altra. Studiò ogni possibile testo di religione e di scienza, finché il peso della sua conoscenza acquisita non divenne intollerabilmente grande. Continuava a non trovare pace.
Un giorno, mentre passeggiava sulla riva del mare, Agostino vide un ragazzo in piedi sulla rena, che teneva in mano una coppa. Il ragazzo aveva l’aria preoccupata ed ansiosa e Agostino si chiese come un ragazzino potesse essere così pensieroso.
Perciò lo avvicino è gli chiese: “Cosa ti succede? Perché hai l’aria così triste?”.
Il ragazzo disse: “Sto cercando di mettere l’oceano nella tazza. Ma, per quanto ci provi, non c’è verso di contenerlo. L’oceano è così grande e la mia tazza così piccola”.
“Perché non butti la tazza nell’oceano?”, disse Agostino.
Pronunciando quelle parole Agostino ebbe un lampo di comprensione. Capì che stava facendo esattamente la stessa cosa di quel fanciullo. Stava cercando di contenere l’infinità beatitudine di Dio nella minuscola coppa del suo senso di “io” individuale. E, appena se ne accorse, gettò la coppa del suo ego. Subito dopo scoprì che poteva contenere l’oceano. Realizzò la sua unità con Dio.
La verità è che noi siamo tutti come quel ragazzo. Ci sono milioni e milioni di noi in piedi sulla riva dell’oceano della Coscienza, cercando di metterlo nella propria tazza. Continuiamo a spiare le tazze dell’uno e dell’altro, a paragonarle e a discuterne. Alcuni di noi si sentono fieri perché la loro tazza è più grande di quella di un altro e alcuni di noi sono invidiosi perché pensano che la tazza di qualcun altro sia più grande della loro. Ciò che non capiamo è che nessuna delle nostre tazze può contenere il vasto oceano di Dio.
Se noi gettassimo le nostre tazze nell’oceano, se immergessimo il nostro ego nella beatitudine di Dio, non piangeremmo e non ci lamenteremmo più della separazione del nostro ego. Saremmo una cosa sola con quell’oceano.”
Il medesimo concetto è successivamente riassunto in un brano più breve, forse più incisivo proprio per la sua brevità.
“Se prendi un piccolo vaso, non importa dove vai a riempirlo: a un rubinetto, una fontana, al fiume, o nell’oceano. Puoi riempire il vaso solo fino all’orlo.
Non puoi riempirlo oltre le sue capacità.”
Ed è poi ripresentato in altra forma metaforica: non più acqua, ma seme. Il concetto però è il medesimo.
“Quando un seme è piantato nella terra, perde in essa la propria individualità. Ma, dopo un po’, germoglia e diventa una bellissima pianta.
Solo perdendo la propria individualità il seme può svilupparsi in una pianta. nello stesso modo, solo immergendo il nostro ego limitato nel Sé, possiamo svilupparci nel Sé.
Fintanto che è l’ego è vivo, noi siamo creature mortali limitate. Andiamo da morte a morte, nasciamo solo per morire e moriamo per rinascere. Ma quando l’ego muore, quando il nostro senso di limitatezza non c’è più, anche la nostra morte muore e noi diveniamo immortali.”
Ecco ora una sintetica cartina di tornasole con cui misurare dove si è (comprensione e realizzazione) lungo il percorso spirituale.
“La spiritualità non è altro che una consapevolezza del fatto che la Verità vive all’interno e all’esterno.
Possedere una vera consapevolezza spirituale significa vedere materia e coscienza come una cosa sola.”
L’uguaglianza dentro-fuori ci conduce inevitabilmente al tema dell’amore. E a come lo si ricerca nella propria vita: amore mondano esteriore o amore-consapevolezza interiore?
“L’amante proietta l’amore del suo stesso cuore, l’amore che è dentro di lui, sull’amata, e sperimenta in cambio soddisfazione e felicità. L’amata fa la stessa cosa; proietta il proprio amore sull’amante e sperimenta soddisfazione e felicità.
Ma questo non è ciò che insegna il Vedanta o lo Yoga. Il Vedanta dice che dovresti continuamente indirizzare l’amore che è dentro di te sul tuo intimo Sé e trovare la tua felicità, la tua gioia, all’interno del tuo stesso cuore, e non in qualcun altro. Altrimenti proietti l’amore che hai dentro di te su un altro individui e pensi che la tua felicità, la tua gioia vengano da questa persona.
L’amore che ricevi da un altro non dura. Cresce e cala come la luna; dipende dall’altro. Non è un sostegno affidabile; è precario e temporaneo.
Dovresti sperimentare quell’amore che si trova nel tuo stesso cuore.”
E, a proposito del dualismo dentro-fuori, ecco quali sono le conseguenza in un caso e nell’altro.
“Se guardate voi stessi con un atteggiamento di disprezzo, vedrete anche il resto del mondo in quella luce. Proietterete il vostro stato d’animo sugli altri, e allora vedrete in loro la stessa miseria che vedete in voi stessi. Comincerete a trovare difetti negli altri, a guardarli con l’occhio del peccato e a scoprire impurità in ogni cosa che vi circonda.
Perciò, prima di tutto, dovreste riconoscere la vostra grandezza, la vostra divinità. Solo allora capirete la divinità degli altri.
Una volta che avete cominciato a rendervi conto che Dio stesso dimora all’interno del cuore umano, una volta che avete cominciato a rispettarvi, automaticamente rispetterete gli altri. E così comincerete a vedere che il mondo è bellissimo e che altrettanto bello sarà il vostro atteggiamento verso gli altri.”
Ci avviciniamo alla conclusione dell’approfondimento di I segreti del risveglio interiore.
La penultima citazione è brevissima, e ci propone un’altra uguaglianza: stavolta tra noi e la natura, che ci riflette esattamente le nostre energie interiori (come tutto nell’esistenza).
“La maniera in cui noi trattiamo la natura si riflette nel suo comportamento nei nostri confronti.
Oggi avvengono tante catastrofi perché trattiamo la natura e il nostro prossimo senza rispetto.”
L’ultima citazione è una storia. Curiosa invero, ma che ci suggerisce per l’ennesima volta che l’ego va messo da parte.
“C’era una volta un tempio dell’amore. Qualcuno andò alla porta è bussò.
Una voce da dentro chiese: “Chi sei?”.
“Sono un filosofo.”
“Non vi è posto in questo tempio per i filosofi”, disse la voce, “È meglio che tu vada ad insegnare all’università.”
Poi un altro bussò alla porta, e la stessa voce chiese: “Chi sei?”.
“Sono un insegnante di religione.”
“Perché avremmo bisogno di un insegnante di religione qui? Faresti meglio ad andare da qualche altra parte, a ingannare la gente con i tuoi insegnamenti.”
Una terza persona bussò e la voce chiese: “Chi sei?”.
“Un hatha yogi.”
“Che ce ne facciamo di un hatha yogi? Dove finisce l’hatha yoga, comincia l’amore. Vattene.”
Una quarta persona venne e di nuovo la voce chiese: “Chi sei?”.
“Sono un intellettuale; esamino ogni cosa con il mio intelletto penetrante.”
“Che ce ne facciamo qui dei tuoi giochi intellettuali? Quando l’intelletto si confonde e giunge al termine della propria intelligenza, comincia l’amore.”
Arrivò allora una quinta persona e bussò alla porta. Bussò forte e la voce dall’interno chiese: “Chi sei?”.
“Io sono un grande cercatore; sono il grande discepolo di un grande guru.”
“Vattene immediatamente”, disse la voce, “Non abbiamo bisogno del discepolo di un grande guru qui.”
Un’altra persona bussò: “Chi sei?”, chiese la voce.
“Sono io.”
“Perché ti sei portato l’io qui? Di che utilità sarà il tuo io in questo posto?”
Un’altra persona bussò. “Chi sei?”, chiese la voce.
“Huuh”.
“Chi sei?”.
“Huuuh”.
Il portone si aprì, e gli fu concesso di entrare nel tempio dell’amore.
Per trovare l’amore del Sé dovete lasciarvi tutto alle spalle. Se portate un peso qualsiasi nel vostro cuore, non potete raggiungere l’amore interiore. Dovete liberarvi dell’ego. Solo allora potrete sperimentare quell’amore.”
E con I segreti del risveglio interiore di Swami Muktananda abbiamo terminato.
A presto e buone cose a tutti voi.
Fosco Del Nero
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